Spasmo by Alessandro de Leo

Foto mossa, astratta, in bianco e nero di due corpi che fa sesso raggiungendo l'orgasmo. Scattata da Alessandro de Leo, il progetto si intitola "Spasmo"

Spasmo, n.3

Un corpo che sfuma dentro un altro.

Un momento estremamente carnale, l'orgasmo, è al contempo dissoluzione da sé.

La “petite mort” dicono i francesi.

Sesso e morte, due dei tabù più forti, accomunati dal concetto di dispersione dell'individuo.

Carne che si disgrega.

Individuo che svanisce.



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Dissoluzione by Alessandro de Leo

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Nei mesi di isolamento forzato non abbiamo avuto possibilità di scelta. Nessuna interazione fisica, rapporti sociali drasticamente ridimensionati, la finestra sul mondo è diventata per davvero una finestra. Volenti o nolenti.
La fase successiva è molto meno definita, a partire dalle sue varie denominazioni: fase 2, fase 3... Il maggior senso di indefinitezza lo viviamo nei rapporti sociali, nel lavoro, nella nostra identità.
Da quando ci è stato concesso d'aprire la porta di casa siamo stati accecati da una luce sconosciuta; tutto è indefinito, il nostro ruolo, il ruolo degli altri, la nostra stessa identità ne è compromessa. Gli occhi non si abituano a questa luce di cui siamo stati privati per mesi: è cambiata la luce o sono cambiati i nostri occhi?
Ci si è spalancato il mondo, un mondo nuovo e sconosciuto, col quale non sappiamo come interagire, come vivere, come abitare; i rapporti interpersonali sono permeati da un costante senso di incertezza, dal timore di poter arrecare e subire danno. Mostrare il proprio volto è diventato un gesto di estrema fiducia, un affidarsi totalmente all'altro, un gesto ancor più intimo di quanto potesse significare mostrarsi nudi.
Non sono ancora pronto a tutto questo, non riesco ancora ad aprire del tutto gli occhi, le mie pupille sono ancora troppo dilatate, abituate ai mesi di buio. So che il mio posto “deve” essere qui, in questa luce che mi acceca, ma è tutto troppo indefinito e pericoloso, voglio tornare al sicuro al buio.


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Mostra Internazionale Artes 2020 IV Edizione by Alessandro de Leo

Dal 10 al 16 ottobre si è svolta a Torino la mostra collettiva intitolata “Mostra Internazionale Artes 2020”, giunta alla sua quarta edizione, ospitata per l’occasione presso gli spazi di DMA Diagnostic Monitoring Applications.
Il mio progetto “Divenire” si è aggiudicato il primo premio per la sezione Foto e Digital Art, per cui ringrazio sentitamente l’associazione organizzatrice, Artes a.p.s., e tutti i giudici che hanno deciso di premiare il mio lavoro.

The Auanders - Eternal by Alessandro de Leo

Pochi giorni fa è stato pubblicato il videoclip che ho realizzato per gli Auanders, un supergruppo composto dai talentuosi musicisti dell’etichetta Auand Records. Per l’occasione a prestare la voce è Sara Battaglini, protagonista anche del video che potere guardare qui sotto.
Il brano si intitola Eternal.

Divenire - Testo Critico by Alessandro de Leo

Il bianco e il nero. Non colori ma spazi esistenziali abitabili. Il bianco è la luce, quella parte dello spettro elettromagnetico che rende visibile tutto ciò che esiste e che occupa uno spazio. Improvviso e accecante, mostra soltanto le forme essenziali, le brucia come se fossero sottoposte a un lampo nel cuore della notte, a un flash, rivelandone solo i dettagli più inequivocabili. Elegante e pulito, ma allo stesso tempo studiato e complesso. Silenzioso, veste l’ambiente, quasi irriconoscibile, di una sacralità impalpabile.

Il nero è la materialità dei corpi e del corpo, di quello che è presente nonostante il bagliore, che esiste autonomamente e che, naturalmente, anela al movimento, che forse è il principio fondamentale attorno al quale la vita si sviluppa. Non descrive ciò che è, non lo spiega, ne segnala la presenza. Il nero è ciò che c’è di più vicino al reale, a noi e a ciò che come noi è carne, oltre che energia.

Tra bianco e nero, tra quello che è intorno e quello che siamo non ci sono passaggi netti. Non contorni, non linee. Tra bianco e nero la vista si offusca e non sa dove appoggiarsi. È confusa, non capisce se è la luce ad assorbire i corpi che pure rimangono aggrappati a una condizione inevitabilmente umana o se sono le figure a cercare di spandersi, per confluire di nuovo in un flusso dal quale abbiamo deciso di discostarci troppo tempo addietro. È un dialogo continuo e senza soluzione. Le foto di Alessandro de Leo raccontano la materia come concetto in movimento, costantemente in divenire, che cerca di slegarsi dalla forma perché simile a ogni altra cosa, anche all’aria in cui galleggia. Tocchiamo e ci lasciamo toccare: in questo modo entriamo in contatto con del materiale genetico che non ci appartiene ma che più o meno consapevolmente ci cambia dall’interno, a livello chimico. E poi mangiando, respirando, introduciamo in noi materia e quella materia viene tessuta insieme alla nostra e ci rende diversi ogni istante rispetto al precedente, paurosamente instabili e vivi. Il corpo si trasforma e si fa codice indecifrabile. Lo spazio si trasforma e ci asseconda, incorpora con gentilezza ogni cambiamento. L’unico punto fermo è il movimento.


Carmelania Bracco

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Tempo im[perfetto] by Alessandro de Leo

Sabato 9 novembre si inaugura Tempo Im[perfetto].
Si tratta di una mostra collettiva alla quale parteciperò con due miei lavori estratti dal mio progetto, tutt’ora ancora aperto, intitolato “Divenire”, che indaga i confini labili e mutevoli fra il corpo umano e il mondo che lo circonda.
I 38 artisti coinvolti utilizzano tecniche diverse (fotografia, illustrazione, pittura, scultura, video), a legare il tutto c’è la visione del tempo ed il modo in cui muta le cose.
La mostra sarà visitabile fino al 13 novembre presso la Tevere Art Gallery, in via di Santa Passera 25, a Roma.

Qui sotto un’anteprima delle mie due fotografie.

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Con Lievi Mani by Alessandro de Leo

Venerdì 4 ottobre Palazzo Tupputi - Laboratorio Urbano ospita la mostra personale di Vanna Carlucci, incentrata sul suo progetto intitolato “Con Lievi Mani”.
Tutte le fotografie mostrano le sue mani, i cui gesti evocano sensazioni, emozioni, ricordi.
Il bianco e nero delle immagini è presente anche nel video realizzato in collaborazione con Ilaria Pezone, visionabile all’interno della mostra.
Durante l’inaugurazione, alle ore 19:00, dialogherò con l’artista per introdurre gli spettatori ai suoi lavori.
La mostra fa parte della rassegna di arte audiovisiva
SonImage, giunta alla settima edizione, organizzata dal Cineclub Canudo; sarà visitabile fino al 25 ottobre.

Bari Pride 2019 by Alessandro de Leo

Fotografare il Pride è sempre piuttosto “facile”.
Tutto è a favore di macchina fotografica, a partire dai partecipanti, sempre felici di metterci la faccia per un'iniziativa molto sentita a cui hanno aderito, fino ad arrivare ai simboli onnipresenti: scritte sia su cartelloni che sui corpi, arcobaleni ovunque, perfino tracce lasciate scrivendo con un dito sui finestrini impolverati delle automobili.
Poi ci sono i contrasti, inevitabili, fra la “normalità” di chi il Pride se lo ritrova per caso sotto la finestra di casa e i vistosi partecipanti. Contrasti presenti anche sui corpi stessi dei partecipanti, in grado di far convivere due ali angeliche con una bottiglia di birra. Altre volte i contrasti sono soltanto nei nostri occhi: una ragazza nel corteo guarda per terra, e quello sguardo basso, nella folla festante, significa automaticamente assenza, malinconia, straniamento; potere delle immagini, in cui uno sguardo basso non è mai solo uno sguardo basso, magari per capire dove si stanno mettendo i piedi.
Insomma, è davvero difficile che in un'inquadratura non ci siano elementi visivi fortemente comunicativi.

My Eye, My Enemy by Alessandro de Leo

Riporto il testo scritto da me, seguito dalle parole di Bruno Di Marino, circa la mia serie “My Eye, My Enemy”. L’intero lavoro è visionabile nella sezione “Ricerca Personale” di questo sito, o cliccando qui.

“Quando ho cominciato a scattare queste fotografie non mi ponevo molte domande, cercavo questo tipo d'immagini per istinto. Ad un certo punto, però, la risposta alla domanda che non mi ero mai posto (“perché fotografo in questo modo la gente?”) è arrivata senza il mio consenso, sorprendendomi: l'obiettivo sarà anche puntato verso il soggetto che ho davanti, ma non sto facendo altro che descrivere me stesso. Mi sono accorto improvvisamente che le immagini che realizzavo descrivevano il mio modo d'interagire con il prossimo: sfuggente, scostante, timoroso. I rapporti interpersonali mi creano spesso disagio, facendo sorgere in me un'immediata voglia di fuga. Senza saperlo, quindi, ho finito per rappresentare in fotografia ciò che vedo realmente delle persone: poco o nulla. Più che una serie di ritratti, quindi, ritengo che questa serie di scatti rappresenti invece un autoritratto, ripetuto ossessivamente a prescindere dalla persona che fotografavo.”

Alessandro de Leo, 2018

“L’idea della macchina fotografica come “inconscio ottico”, teorizzata da Benjamin e ripresa poi da un grande fotografo italiano come Franco Vaccari, potrebbe essere facilmente applicata a questa serie fotografica di Alessandro de Leo. Anche se, in questo caso, non ci troviamo solo di fronte a un dispositivo che, automaticamente, produce la sua immagine dell’inconscio, a prescindere dall’autore che scatta la foto. Anzi, l’inconscio è connaturato proprio della categoria ottico e connessa ai problemi della rappresentazione (del visibile, dell’invisibile, del rappresentabile). 
Le fotografie di de Leo – come sottolineato dal titolo della serie e da una sua dichiarazione – hanno piuttosto la funzione, riproducendo gli altri, di indagare se stesso, ovvero l’inconscio del fotografo. All’inconscio del dispositivo si affianca, insomma, quello dell’artista (ma non è sempre così, in fondo?) che, riflettendosi nei volti altrui, in realtà realizza sempre una sorta di autoritratto nelle sue molteplici varianti. 

Il volto non può che essere un’entità sfuggente, eterea, deforme, che giunge fino all’astrazione, dissolvendosi nel momento stesso in cui viene fissato dall’occhio del fotografo. I volti umani diventano quasi animaleschi oltre che fantasmatici. Scie luminose che affiorano dal buio, facce schiacciate contro un vetro (idealmente l’obiettivo stesso), congelate in una smorfia forse di dolore. 
La metamorfosi dinamica (o dinamizzata) che contraddistingue le figure, queste teste che sembrano replicarsi all’infinito, ricorda per certi versi il fotodinamismo di Bragaglia. Ma se in quel caso i tempi lunghi di esposizione restituivano una successione di movimenti, in questo caso il flusso della figura diventa una massa compatta, scultorea pur nella leggerezza e virtualità della luce che si raggruma sulla superficie argentica. Qualcuno semmai potrebbe accostarli, più agevolmente, alla pittura di un Bacon oppure a certi lavori di videoarte basati sulla deformazione elettronica. In ogni caso de Leo instaura con l’immagine un corpo a corpo e il suo occhio diventa anche il suo nemico. La fotografia è uno specchio, è lo spazio circoscritto di un combattimento che certifica l’impossibilità di riprodurre la vera anima delle persone e delle cose. 

Da questa idea di impotenza in fondo nasce l’arte. La vocazione realista del dispositivo è solo una fuorviante illusione. L’occhio del fotografo – attraverso la macchina – crea l’immagine di una realtà che ci sfugge pur lasciando tracce, simili ma diverse l’una dall’altra. E in questo meccanismo di ripetizione e differenza si può cogliere un altro aspetto delle fotografie di de Leo, istantanee che sembrano non aggiungere nulla all’orizzonte del visibile, se non l’ansia di una continua verifica nel rapporto tra Io e Altro, due entità che sembrano rincorrersi e fondersi insieme nei labirinti inestricabili dell’inconscio. Esistenziale ed ottico.” 

Bruno Di Marino, 2018